martedì 19 luglio 2011

Il movimento 15M prende i “cammini” dopo aver preso le “piazze” e i “quartieri”


Marcia Popolare Indignata

Il movimento 15M prende i “cammini” dopo aver preso le “piazze” e i “quartieri”

Una grande marcia su Madrid composta da cinque colonne. Partite da tutti i punti cardinali dello stato, dopo aver camminato per 30 giorni, arriveranno a Madrid il 23 luglio.
Gruppi di attivisti del 15M hanno iniziato la Marcia Popolare Indignata (MPI) camminando dal 19 giugno con l’obiettivo di far conoscere direttamente le proprie proposte, assemblee ed esperienze. Lo faranno attraversando centinaia di cittadine e marciando per un mese. A volte dovranno percorrere più di 30 km, con una media di 22 km al giorno.

5 percorsi attraverseranno tutta la geografia
La MPI è iniziata dal percorso Est, uscendo da Valenzia lo scorso 19 giugno con una trentina di attivisti/indignati. Nei giorni successivi sono cominciati gli altri percorsi: quello del Nordest proveniente dalla Catalogna, quello del Nord da Navarra-Paese Basco, quello del Sud da Cadice, quello del Nordovest da alcune città di Galizia e Asturie. La distanza da coprire in ogni percorso oscilla tra i 700 e i 450 km. Si calcola che in tutti i percorsi e sotto-percorsi si copriranno più di 5mila km di autostrade stradali.

Assemblee in tutti i paesi
Una volta arrivati nei vari centri abitati, si terranno assemblee con gli abitanti del posto per scambiare esperienze, espletare necessità e stringere rapporti per continuare a far crescere questo grande movimento che sta svegliando le persone. Si è creato un modello di “Assemblea del cammino” per facilitare l’apprendimento di questa forma così caratteristica  di organizzarsi e comunicare in un grande gruppo di persone. Si prevede che verranno realizzate assemblee in più di 100 centri. Nel tragitto si raccoglieranno immagini, idee, scritti, canzoni, esperienze e tanti amici.

Quale è il senso della MPI e quali conseguenze può avere?

La MPI può servire a consolidare i rapporti tra le assemblee create o ampliate a partire dal 15 maggio (in quartieri e città), oltre a creare e unire la coordinazione tra le assemblee in un’azione congiunta.
Questa marcia non va interpretata come una semplificazione della protesta ma come un’estensione della stessa: seminare l’indignazione e il dibattito assembleare, imparare da altre esperienze collettive di resistenza e lotta, connetterci e creare reti.
Se quella del 23 luglio sarà una manifestazione con maggiore appoggio rispetto a quella del 19 giugno, il processo del 15M si potrà diffondere nel Paese e contagiare ed ispirare altri Paesi in particolare dell’area mediterranea o dove si vivano situazioni simili, che disgraziatamente sono molti. La forma peculiare della @spanishrevolution è la combinazione di assemblee, ma con metodo, e azione permanente, ma pacifica e non violenta, senza leaders, con incarichi a rotazione ecc. Questa combinazione, insieme al  grande lavoro e un tocco di creatività, risulta da un’efficacia e da una semplicità facilmente imitabile, esportabile e riproducibile da quelli che sono sulla stessa lunghezza d’onda di questa “nuova sensibilità”.
Al contrario è incomprensibile, inafferrabile per coloro che guardano attraverso la mentalità vecchia dei valori caduchi. Quelli che cercano dove è il denaro che muove tutto ciò, o il partito, gruppo o leader che dirige nell’ombra questi giovani. I quali stanno prendendo coscienza della propria esistenza, delle proprie capacità, delle proprie possibilità ed hanno perso la paura del potere perché hanno scoperto che il futuro è nelle loro mani e che possono e devono costruirlo. Si sono svegliati di colpo, si sono tolti il velo che impediva loro di vedere questa possibilità, questo velo che li accusava di essere pigri, violenti, disinteressati, nonchè bambini viziati, drogati, alcolizzati, ecc.
Se il movimento 15M passa l’esame di luglio delle marce su Madrid potrà abbordare sfide più grandi guardando alle elezioni generali e, perché no, ispirare mobilitazioni congiunte a livello europeo.

Come comunicare con i percorsi
Ogni percorso avrà il proprio account twitter, ad esempio @rutanoroeste. Nel blog della MPI si trovano tutte le informazioni generali e quelle di ogni percorso (http://marchapopularindignada. wordpress.com/)
Come partecipare?
Puoi aggiungerti come camminante in un tratto, per due giorni, una settimana o per tutto il percorso. Scegli tu. Per iscriverti e ottenere informazioni visita il blog http://marchapopularindignada. wordpress.com/formulario/. Si può partecipare anche appoggiando la marcia per due o tre giorni, nei fine settimana o durante la settimana, in macchina, bici, per collaborare con coloro che marciano in compiti di infrastruttura o logistica.


CHI sono gli indignati?

Nel loro manifesto, redatto a Puerta del Sol dopo la manifestazione del 15 maggio, si autodefiniscono così:

Siamo persone venute qui spontaneamente, che hanno deciso di riunirsi dopo la manifestazione per continuare a rivendicare la dignità e la coscienza politica e sociale. Non rappresentiamo nessun partito né associazione. Ci unisce la vocazione per il cambiamento. Siamo qui per la dignità e in segno di solidarietà con coloro che non possono essere presenti. Siamo qui perché vogliamo una società nuova che dia priorità alla vita invece che agli interessi politici ed economici. Chiediamo un cambiamento nella società e nella coscienza civile. Appoggiamo i “compagni” arrestati dopo la manifestazione e chiediamo il loro rilascio senza conseguenze.
Vogliamo tutto e lo vogliamo adesso, se sei d’accordo con noi UNISCITI!
Quelli che hanno iniziato e sono il cuore del movimento 15M sono in gran parte giovani tra i 20 e i 30 anni, universitari e molto preparati, che parlano inglese e sono cresciuti usando i mezzi tecnologici. Sono abituati a maneggiare e a trasmettere informazioni tramite internet, sono intelligenti e dotati di spirito critico. Viaggiano liberamente per il mondo. Sono sicuri, creativi e allegri e non sono abituati al fallimento.
Queste sono alcune caratteristiche che corrispondono al profilo medio degli indignati, e con quella che i sociologi più ampiamente definiscono “Generazione Y” alla quale appartengono i giovani nati tra il 1980 e il 1990. Ma loro rifiutano le etichette sociologiche e vogliono invece caratterizzarsi per le proprie diversità, la propria individualità, la propria determinazione e soprattutto per non volersi sottomettere ai percorsi ristretti che qualunque catalogazione propone loro.
Questi giovani danno per scontato, perché così sono stati educati, che tutti gli uomini nascono liberi e uguali, che tutti hanno diritto a una casa e a un lavoro dignitoso, a una società giusta e a un mondo di pari opportunità.
Tuttavia, sono cresciuti e hanno studiato guardando con preoccupazione al loro futuro, sempre più ristretto, e quando arriva il loro turno di inserirsi nel mondo lavorativo, scoprono che quelle convinzioni con cui sono cresciuti erano in realtà favole, come quando si dice a un bambino già grande che Babbo Natale non esiste. E si sentono ingannati, perché sono stati ingannati.
La generazione dei loro genitori e quella dei loro nonni si stanno accorgendo, grazie a questi ragazzi, che hanno lavorando per un sistema che ha dilapidato i loro sforzi, con governanti che hanno attuato una gestione disastrosa del loro lavoro e hanno ipotecato il futuro dei loro figli. E anch’essi si sentono ingannati, perché sono stati ingannati.
Questi giovani vogliono vivere in un mondo libero sentendosi qualcosa più che un altro pezzo in un ingranaggio al servizio del mercato.
Possono sacrificare una carriera lavorativa che oggi sarebbe considerata brillante per il privilegio di disporre del proprio tempo come a loro piaccia. Sono abituati a scegliere e ad esigere. Fanno grandi sforzi studiando e formandosi e vogliono applicarli in qualcosa che abbia senso e che valga la pena. Le loro vite non saranno un contributo di maggior o minor successo al funzionamento del mercato. Non organizzeranno le loro vite in funzione del lavoro, ma sarà il lavoro ad essere al servizio della vita che vogliono vivere.
Perciò questo sistema non serve loro, e vogliono cambiarlo.
Gli indignati quindi sono i giovani che hanno iniziato questo movimento e originato le mobilitazioni che scuotono il paese da maggio ma anche i loro genitori e i loro nonni che si sono uniti spinti dal loro entusiasmo e dai loro punti di vista. E coloro che sono stati espulsi dal mercato del lavoro, gli impiegati dallo stipendio miserabile, quelli che hanno il futuro chiuso e infine tutti coloro che pensano che un mondo migliore non solo è possibile ma imprescindibile.
Devono il loro nome a un libricino del francese Stéphane Hessel, “Indignatevi”, che è diventato un enorme successo dato che evidenzia la recessione dei diritti umani e civili nella nostra società dovuta  all’inganno dei poteri politici e finanziari.


PERCHE’ si ribellano?

Fondamentalmente, perché credono che è possibile cambiare le cose e perché sono sicuri di poterci riuscire.
La situazione di crisi mondiale sempre più acuta ha evidenziato il fallimento di un modello che fino a poco fa non veniva messo in discussione in occidente, ma ha anche smascherato i responsabili dei disastro. Oggi sembra molto difficile convincerci del fatto che stiamo vivendo una specie di catastrofe naturale inevitabile dovuta al cattivo funzionamento dei mercati, perché abbiamo dati sempre maggiori sulle facce, i nomi e i metodi di quelli che prendono le decisioni che guidano questi mercati. Questo si dimostrò nel 2008, quando l’economia nordamericana originò la crisi con lo scandalo dei mutui subprime: una macrotruffa a livello planetario in cui erano implicate migliaia di banche di tutto il mondo. Come una reazione a catena, la conoscenza dei modi di operare delle istituzioni finanziarie in questo scandalo fece cadere il velo che copriva il funzionamento dei mercati finanziari internazionali. La sfiducia si estese e alla fine diventò evidente come fossimo costantemente ricattati da banche e agenti finanziari, che sono scrupolosamente protetti dai nostri governanti (cui non pagano invano le vergognose campagne elettorali).
Gli INDIGNATI sanno che il sistema economico e sociale che si è affermato negli ultimi decenni è ingiusto e inefficace, e che è un sistema globale che per la prima volta nella storia si è diffuso in tutti gli angoli del pianeta. Per questo, per un problema globale, cercano soluzioni globali e profonde.

QUANDO è iniziato il movimento?

Anche in altri Paesi sono iniziati da tempo altri movimenti seguendo strade differenti

Per descrivere le condizioni all’origine di questo movimento bisogna allontanarsi un po’ sia nel tempo che nello spazio. Quello che è successo in Spagna, che a livello internazionale ormai è noto come Spanish Revolution,trova i suoi precedenti in altre mobilitazioni precedenti, che sebbene non siano sfociati in movimenti dotati di continuità, costituivano già i sintomi del fatto che qualcosa stava cambiando nella coscienza collettiva della nostra società. Le enormi manifestazioni contro la guerra in Iraq ne sono un ottimo esempio: la popolazione spagnola mise, in massa, un presupposto morale di non violenza e rispetto davanti ai presunti benefici economici e politici che questa guerra avrebbe comportato.

Islanda
Nel 2008, col fallimento delle tre banche principali, il Paese dichiara bancarotta. Il Governo chiede prestiti cercando di obbligare la popolazione a pagarli, ma i cittadini dicono che NON pagheranno debiti contratti dalle banche. Cade il governo e si indicono elezioni anticipate, si apre un’indagine per dirimere le responsabilità e alla fine banchieri e altri esecutivi sono arrestati o scappano dal Paese e l’ex Primo Ministro viene processato per grave negligenza nella sua gestione. Per proporre soluzioni alla crisi, viene eletta un’assemblea per redigere una nuova costituzione che tenga conto della lezione appresa. Gli Islandesi avevano preso questa decisione già prima di essere annessi all’Unione Europea e senza cedere alle pressioni di Olanda e Inghilterra, i principali creditori delle banche fallite, che li dichiararono terroristi.

Grecia
Per decenni, i vari governi greci hanno mascherato le proprie disastrose gestioni economiche ricorrendo a prestiti da entità finanziarie specializzate, tra cui Il Fondo Monetario Internazionale, arrivando addirittura a falsificare i propri bilanci per poter entrare nell’Unione Europea. Quando la situazione è diventata insostenibile ed è stato impossibile continuare a pagare interessi sull’enorme quantità di debiti accumulata, viene comunicato al Paese che saranno i cittadini a doversi assumere il costo di questa gestione. Ma non li si informò di chi fosse stato a firmare i contratti con le più che dubbie entità che prestavano il denaro, a che condizioni, né tanto meno per cosa venissero usati i fondi ricevuti. I cittadini vogliono sapere quale parte del debito firmato dai politici comportava miglioramenti per il popolo greco così da accettare di restituire il denaro, e quale parte corrisponde a transazioni che non comportarono benefici alla popolazione ma ai firmatari dei contratti. Esigono la creazione di una commissione indipendente che studi la gestione dei contratti e che, successivamente, evidenzi quale parte del debito non riguarda la popolazione in modo che se ne facciano carico i responsabili.
Anche se rappresentano casi diversi, Islanda e Grecia si somigliano in qualcosa di elementare: l’interesse dei “rappresentanti del popolo” è messo al servizio del salvataggio delle entità finanziare a costo del sacrificio dei cittadini. E i cittadini hanno detto no.
I mezzi di comunicazione non ci hanno detto niente di quanto accaduto in Islanda, non sia mai serva da esempio, e riguardo alla Grecia trasmettono l’idea che l’Unione Europea la sta riscattando. In realtà, ciò che Germania e soci fanno quando decidono di destinare migliaia di milioni di euro a questo ricatto, è salvare le banche tedesche  che fallirebbero se la Grecia non pagasse.

Medio Oriente: Tunisia ed Egitto

Il 17 dicembre 2010 un venditore ambulante di Tunisi, Mohamed Bouazizi, si diede fuoco, disperato per le sue condizioni di vita e le scarse possibilità di futuro. La miccia scoppiò in tutto il Nordafrica mettendo fine in pochi giorni al governo di Tunisi e qualche mese dopo a quello egiziano.  Le rivolte si sono succedute in tutto il resto del nord del continente, per essere poi brutalmente represse e talvolta addirittura manipolate per trasformarle in guerre.

Spagna
Mentre in Medioriente ed Europa succedeva tutto ciò, in Spagna decine di piccoli gruppi iniziavano a muoversi nelle piazze e sui social network preoccupati dalla crisi, dalla sfacciataggine dei nostri politici e della debolezza della nostra posizione e al tempo stesso chiamavano il Paese alla mobilitazione e alla protesta contro le menzogne e la manipolazione. I dati sugli stipendi, le pensioni e i privilegi dei parlamentari cominciarono a diffondersi massicciamente tramite email. I comportamenti dei governi  che accorrevano in aiuto delle banche sacrificando i cittadini cominciarono ad essere smascherati. La gente si riunì per discutere, e anche per ballare in piazze e davanti alle banche come forma di protesta, o a manifestare, o anche semplicemente a prendere atto del proprio malessere.
Finchè il 15 maggio viene convocata a Madrid una grande manifestazione e successivamente un gruppo di persone si accampa a Puerta del Sol per rendere pubbliche le proprie rivendicazioni e la propria protesta prima delle elezioni comunali. L’acampada è sgomberata con la forza all’alba del 17 maggio e quello stesso giorno nasce il movimento 15M: i madrilegni arrivano in massa a Puerta del Sol per sfidare i divieti della Junta Electoral, i giovani si accampano in modo permanente e iniziano ad organizzarsi in assemblee e commissioni e l’esempio si diffonde in tutte le città della Spagna. E non si ferma. Diventa sempre più organizzato, più cosciente e più globale. Ora inizia a diffondersi all’estero e nei quartieri, in un movimento che si dirige da una parte alla base e dall’altra all’internazionalità, e che ottiene sempre più adepti.
        
COSA chiedono?

Questo movimento non vuole miglioramenti sociali: aspira a cambiare il mondo.
Vogliono un pianeta sostenibile e sono disposti a cambiare le abitudini di consumo e sperpero dei loro genitori in cambio di altre che garantiscano maggiore redistribuzione e, di conseguenza, maggiore dignità per tutti. Confidano nella partecipazione cittadina e nella base sociale, organizzata e interconnessa, per portare a compimento il cambiamento.

COME?
Chiamando alla mobilitazione pacifica. Rinunciando alla violenza e iniziando a lavorare nei vari quartieri organizzati in assemblee e gruppi connessi con la propria città, col Paese e col mondo. Quando gli accampati di Sol iniziarono a pensare di lasciare la piazza, spinsero i manifestanti a riunirsi in assemblea nei propri quartieri e a riprodurre il modello di Sol ma senza accampamento, e lavorando ciascuno per risolvere i problemi della zona. Allo stesso tempo si stava ricevendo una enorme risposta a livello internazionale spinta in un primo momento dagli studenti spagnoli, che si riunivano davanti ad ambasciate e consolati per protestare. La base di questa rivoluzione è la non violenza e il lavoro per la costruzione di qualcosa di nuovo, né la distruzione né la negoziazione. Ognuno deve trasformare se stesso nel modello di ciò che vuole ottenere.
È possibile che stiamo assistendo al risveglio di una generazione che finalmente è sufficientemente preparata per portare a termine il cambiamento che tutti almeno una volta abbiamo osato sognare.


15M: non violenza attiva o pacifismo tattico?

È iniziato un nuovo momento sociale in cui il movimento 15M dovrà prendere decisioni che potranno determinare strade differenti in futuro. Questo è un momento rivoluzionario che può generare nuove forme di lotta finora sconosciute o andare verso vecchie forme già logore e non adeguate al momento né alla sensibilità attuali. Mi riferisco al fatto che bisognerà scommettere su un pacifismo “tattico” momentaneo che a seconda della circostanza giustificherà l’uso della violenza oppure scegliere definitivamente la via della non violenza come metodologia di azione rivoluzionaria, lottando contro qualunque forma di violenza. Non c’è altro modo di sradicare la violenza che usare la non violenza.
Perché la violenza non si esprime solo in modo fisico quando c’è aggressione, maltrattamento fisico o addirittura eliminazione di un’altra persona. Queste sono le forme più evidenti di violenza, ma ne esistono altre espressioni, molto spesso non così “identificabili”, ma non per questo meno pericolose e distruttive. C’è la violenza economica, quando si impongono delle regole di mercato che provocano catastrofi, carestie e milioni di disoccupati in tutto il mondo. Esiste anche una violenza razziale, quando si discrimina qualcuno per la razza, l’origine o il colore della pelle. Esiste la violenza religiosa dei fondamentalismi intransigenti, dei fanatici religiosi, delle persecuzioni in nome di Dio, della fede o delle sacre scritture. C’è la  violenza generazionale quando si discriminano i giovani (oggi essere giovane equivale ad essere sospetto)o quando, sempre per via dell’età, vengono discriminati bambini e anziani. C’è violenza di genere quando si emargina la donna. Ci sono altre forme di violenza come quella che si esercita  contro coloro che hanno un orientamento sessuale fuori da quello prestabilito dalla propria cultura. Esistono le violenze sulle culture quando si sostengono costumi che vanno contro la dignità della persona o contro altre culture. Ci sono violenze più sottili come quella psicologica, che sviluppano le paure e con cui si manipola la gente con falsi timori.
La nostra società è piena di tutti questi tipi di violenza e per poterli denunciare dobbiamo prima fare un lavoro che comincia dalla loro identificazione, per poi sviluppare meccanismi che li combattano fino a sradicarli.
Mi pare che la vera novità di queste mobilitazioni sia, oltre ad avere una grande forza e permanenza, il fatto che si sviluppino con grande calma e tatto e con enorme resistenza alle provocazioni, la novità è che lo si sta facendo in modo pacifico e con la metodologia della non violenza. Con enorme attenzione nel trattare con la gente e anche con la polizia, che è nei paraggi in numero sempre minore. Ho visto gli accampati offrire ai poliziotti bibite e panini.
Finora questo atteggiamento nelle concentrazioni è stato tattico, non esplicitato, a parte alcuni momenti in cui si ricorreva a slogan urlati spontaneamente: non violenza! non violenza! In alcune assemblee a cui ho partecipato alcuni compagni proposero di prendere una posizione esplicita riguardo a questo tema. Proponevano di legare questa grande mobilitazione alla metodologia della “non violenza”. Molti erano d’accordo, credo la maggior parte, ma ci furono alcune voci contrarie al compromesso esplicito. Alla fine non si riuscì a trovare una soluzione, non venne nemmeno messa ai voti perché alcuni sostenevano che avrebbe spaccato il movimento.
Come è successo con le mobilitazioni che ci hanno preceduto in Tunisia, Egitto e negli altri Paesi arabi, laddove si possa mantenere e rafforzare la via della non violenza, le rivoluzioni progrediranno, mentre laddove si torni agli usi primitivi della violenza le rivoluzioni si vedranno seriamente compromesse. Nei luoghi dove la violenza sia attiva, i processi si bloccheranno e sicuramente alla fine si tornerà indietro a spese per di più di grandi sofferenze umane.
Questo nuovo fenomeno che inizia in un Paese e finisce per contagiare gran parte del mondo arabo, oltrepassa frontiere fisiche e culturali, arriva in Spagna, si trasforma in #spanishrevolution e molto probabilmente si estenderà ad altri Paesi europei e, perché no?, anche americani ed asiatici perché in tutti esiste la stessa situazione. Cambiando pochi elementi, in tutti questi Paesi l’indignazione verso i governanti e il sistema è generalizzata.
Inoltre, per tornare al tema violenza, alcuni sostengono che in “determinate situazioni” sarebbe comprensibile o giustificabile l’uso della violenza. In quali situazioni? Sarebbe una scelta individuale? E se non fosse così, quando, chi e dove deciderà che nel 15M se è necessario o meno usare la violenza di fronte ad una situazione precisa? Si convocherà un’assemblea per discuterne? Ogni gruppo ha la libertà tattica per adempiere?
Credo che tra non molto il movimento 15M assumerà esplicitamente la non violenza attiva come metodologia di azione. Se non lo fa, avrà i giorni contati. Al contrario, se lo farà, il movimento 15M non violento farà la storia.

 
 

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