giovedì 11 agosto 2011

Lettera indignata


Non credo sia possibile affidare ad un’agenzia di ratings il mio futuro, né tantomeno darlo in pasto all’autoregolamentazione dell’ABI (Associazione Bancaria Italiana) o del sistema finanziario.

Non crediamo più nel libero mercato, perché abbiamo imparato sulla nostra pelle e su quella di altre persone come noi, nel mondo, che il libero mercato è libero solo nel nome, l’ideale che pur porterebbe genera in  realtà schiavitù ed arricchisce i pochi sulle spalle dei molti. (È stupido bollare ciò come semplicistico, l’eccessiva complessità a volte è un artifizio idiota che si frantuma sulla chiarezza della semplicità ) È vero, anche se qualcuno sembra non accorgersene. E’ vero a Roma , è più vero a Dakar. Quando si parla di schiavitù, non c’è bisogno di andare lontano. Basta andare in un supermercato e chiedersi perché esistano prodotti per i quali è necessario scrivere “equo solidale”. Basta andare in un supermercato e chiedere quanto fattura la catena, e poi quanto prende la cassiera. E poi sapere se la cassiera ha dei figli. Se il salario non ci consente formalmente di parlare di schiavitù, chiedete lei se la sua vita accanto alla cassa ogni tanto non le è parsa tale.  Ma bisogna sempre essere felici di avere un lavoro. Non può neanche scioperare. Lei sa di essere perfettamente sostituibile con una macchina.

Il denaro, fino ad oggi, è servito per vivere, per soddisfare bisogni materiali. Perché un lavoratore che lavora 8 ore al giorno e fa lo spazzino, o l’operaio, o l’impiegato deve prendere un decimo di ciò che guadagna un dirigente? Quali differenti bisogni devono soddisfare? Non tornano entrambi stanchi dal lavoro? Non hanno entrambi una famiglia con cui passare del tempo, o degli amici? Non hanno entrambi diritto al riposo? Perché chi ha studiato deve poter guadagnare così tanto di più di chi non ha avuto i mezzi o le capacità per farlo? Il lavoro intellettuale e la ricerca sono importanti, generano nuova conoscenza, fanno avanzare il progresso e migliorano le condizioni di vita generali, quando non protetti da brevetti. Chi dirige , purtroppo non in tutti i casi, ha grandi responsabilità e si impegna nel coordinamento dei lavori e nel buon andamento dell’azienda. Ma queste persone, non hanno forse la stessa dignità  e valore di coloro che spendono la propria vita nel costruire auto, o in cantiere, o a raccogliere la frutta che essi mangiano o a pulire le strade in cui passano? Questi ultimi, non hanno forse lo stesso diritto ad una vita sana, a un lavoro che li realizzi, a una retribuzione che non sia un decimo di quella di altri? Come si può vivere nella stessa casa e avere così tanto di più da poter calpestare i diritti degli altri?

Si tratta di calpestare i diritti degli altri. Coloro che possiedono infatti, decidono. Non hanno bisogno di diritti perché possono comprarli. Non hanno problemi di tasse perché possono aprire conti all’estero. E la privatizzazione di un bene pubblico può esser così giustificata in nome dell’efficienza e di una sana indifferenza nei confronti del prossimo. Io non parlo male dei ricchi, né della ricchezza. Semplicemente non credo nel valore della disuguaglianza.  Non genera sviluppo, né felicità, ma alimenta sofferenze, contrasti, frustrazioni e sprechi. Alimenta anche i consumi. Se basso prezzo vuol dire consumo e frustrazione vuol dire consumo, e consumo vuol dire profitto per il quale è stato necessario sfruttare, allora non credo che consumare sia utile. Non mi interessa. Se tutti guadagnassimo in modo più uniforme non ci sarebbe problema di prezzo, credo. E, credo, anche i lavoratori si sentirebbero più vicini e solidali col proprio datore di lavoro, ammesso che questo voglia ancora esser tale.

Un giorno anche la moglie di un ricco dirigente capirà che la sua cellulite è data dal troppo consumo di cibo fatto mentre il marito era fuori per lavoro e lei aveva carenze d’affetto.

Allora anche lei sarà dalla nostra parte, pensando che sarebbe stato meglio guadagnare meno ma avere più tempo da passare insieme, magari a fare l’amore anziché sulla cyclette.


Non voglio che dal sistema che noi abbiamo creato e che alimentiamo anche con le nostre scelte, e col nostro lavoro, venga generata altra sofferenza, altra disoccupazione, altro sfruttamento e manipolazione per tenerlo in piedi. Piuttosto, preferisco accettare di aver fallito, apprendere che gli sforzi di ottimi economisti, agitati dalle proprie migliori intenzioni, siano però ora, superati, e che tutto ciò che mi circonda (dalle materie insegnate in alcuni corsi universitari, ai sistemi più sofisticati di calcolo delle probabilità di oscillazione di titoli e quant’altro) non sia altro che il frutto di un sistema che noi abbiamo inventato, affinato, migliorato, ma che non funziona. Una situazione collettiva di psicosi generalizzata che manteniamo tale, per lasciare in piedi, non del tutto consapevolmente è chiaro, quello che già abbiamo, “convinti di allontanare la paura di cambiare”. Dovremmo renderci conto delle opportunità che abbiamo per renderci parte di un cambiamento.



Qui, le persone sono ancora costrette a lottare sul terreno della propria vita per poter ripagare un mutuo, con denaro prestato a tassi esorbitanti, per ottenere il diritto a una casa. Un diritto che rispecchia il bisogno primario di ogni singolo e di ogni famiglia.  Qui, i capricci della borsa, i guadagni e le perdite esorbitanti della speculazione finanziaria, che pare aleggiare nel mondo immateriale e virtuale degli indici, dei titoli e dei loro ratings, dove non esistono regole né giudici, si infrangono, il sogno finanziario scoppia come una bolla e l’assenza di regole finanziarie si trasforma in realtà facendo ricadere ogni azzardo sulle vite dei cittadini, su tutti coloro ai quali vengono poi negati diritti, in nome della crisi. Chiusi ospedali. Privatizzati istituti di formazione e ricerca.

Per supportare questo sistema abbiamo inventato “nuove” parole , e nuovi valori: la meritocrazia, la flessibilità e la mobilità, e rispolverato il concetto di efficienza in nome di un’economia più libera e produttiva. Ma abbiamo dimenticato altri concetti ed altri valori: l’uguaglianza di opportunità, la solidarietà, il riconoscimento dell’altro e il valore, non economico, della nostra vita.

1 commento:

  1. Aggiungerei anche che i due miliardi di persone che muoiono di fame nel mondo, sono il frutto della non condivisione delle risorse che sono di tutti sul pianeta, per il profitto stiamo commettendo crimini contro l'umanità. Gli illuminati per ora stanno avendo la meglio sul pianeta.

    RispondiElimina