martedì 31 maggio 2011

MainFatti: Giovani: in 7mln a casa dei genitori e l'Italian Revolution non parte

Ci sono "los indignados" ed ora "les indignes" ma "gli indignati" in piazza no. E quelle generazioni che secondo CGIL "nate fra il 1974 e il 1994 hanno assorbito per intero il costo della crisi economica" rimangono "unite nell'apatia" come scrive The Econimist.


I dati che ha diffuso la CGIL sullo "stato dell'arte" (o meglio sullo "stato delle cose" o meglio ancora delle "case") della situazione giovanile in Italia è sconcertante. Nessuno per questi dati naturalmente si straccia le vesti (anche perché firmate) e talmente ci si è fatto il callo che poco importa se "oltre sette milioni di giovani, quelli compresi tra i 18 e i 34 anni, vive ancora in casa dei genitori". Il paradosso è che questa situazione sia considerata quasi "normale" e "fatale" sia per i "padri" che per i "figli" dato il silenzio pesante che si respira nel Paese. E mentre in Spagna gli "indignados" sono disposti a farsi manganellare dalla polizia pur di manifestare il dissenso generazionale e solamente ieri a Parigi, in piazza della Bastiglia, "les indignes" hanno incominciato a manifestare, l'"italianrevolution" (questo è l'hashtag, ovvero la "parola chiave col cancelletto" su Twitter) stenta non solo a decollare ma anche a nascere. E' vero che una minoranza ci prova sempre, ma il solito irriducibile "motorino d'avviamento" alimentato dai coraggiosi ed inossidabili elementi, ha un'energia troppo debole per accendere il motore della rivolta nonviolenta "alla spagnola". La CGIL snocciola dati e disegna il futuro prossimo dei "giovani" italiani cioè: "Nuclei fatti in parte di pensionati ma soprattutto di precari che li inserisce in una sorta di 'cuscinetto sociale' che rimane al di sotto della media dei redditi dei cittadini italiani e al di sopra della soglia di povertà". Laura Mariani responsabile delle Politiche abitative per CGIL osserva: "E' una sorta di primato negativo per il nostro paese: siamo l’economia avanzata nella quale la minoranza costituita dai giovani ha pagato il prezzo più alto della recessione e continua a farlo. Statisticamente le generazioni nate fra il 1974 e il 1994 hanno assorbito per intero il costo della crisi economica". E questa generazione si dovrebbe quantomeno "innervosire" secondo le regole della sociologia, soprattutto per la disoccupazione che è a quei livelli che inducono alla "tensione sociale". Ma allora perché nelle piazze europee ci sono gli "los indignados" e "les indignes" e non "gli indignati"? E' l'Economist a spiegarlo, in un articolo online che descrive un'"Italia che dorme", "unita nell'apatia" (Italy slumbers. United in apathy. Why young Italians stay at home http://is.gd/lW4E4w). Nell'articolo si parte dall'esempio di Twitter che cinguetta di hashtag come "spanishrevolution" che corrisponde ad una rivoluzione, mentre l'"italianrevolution" era sostanzialmente una mera "incitazione", da parte degli spagnoli residenti in Italia (e pochi altri, quel famoso "motorino d'avviamento") al "contagio" della rivolta nonviolenta. E la manifestazione "chiamata" per il 21 maggio a Roma, Milano e altre città, come "italianrevolution" su Twitter, spiega l'Economist, è stata accolta da pochi e, soprattutto, dai soliti giovani spagnoli residenti in Italia. The Economist tenta di spiegare l'entusiasmo dei giovani indignados rispetto al "torpore" dei giovani italiani, per il fatto che i primi sono "arrabbiati" per essere passati da un'economia di "prolungato boom" ad un crollo repentino, mentre gli italiani sono "semplicemente storditi" da un decennio di crescita trascurabile. Ma poi The Economist dopo un articolo dai toni abbastanza "gentili" nei confronti dei giovani italiani, cala la ghigliottina: "Un recente sondaggio ha rilevato che il lavoro più ambito dagli italiani tra i 26 e i 50 anni è il 'posto pubblico'. A quanto pare in Italia la rivoluzione può attendere". Insommma, per usare un'immagine cara alla generazione che ancora, obtorto collo (ma forse anche no), sta a casa dei "suoi", i giovani italiani non hanno più quell'"occhio della tigre" che ci rendeva famosi nel mondo. Non a caso nel film Rocky III lo "stallone italiano" Rocky Balboa veniva incitato da Apollo Creed con queste commoventi parole: "Anch'io ero come loro, quando sono entrato qui. Li vedi quegli sguardi, Rocky? Tu devi tornare ad avere quello sguardo. Gli occhi della tigre, amico. Gli occhi della tigre". Ma l'eco di Gianni Morandi suona inquietante dalle TV accese dalle mamme: "Dai che ce la fai!".

Zara Marini Silvi


1 commento:

  1. Imbambolati.
    Intorpiditi dalla tv e dalle rassicurazioni di mamma e papà.
    Ed ad aspettate qualcuno o qualcosa che faccia per noi.
    Ma chi e per cosa?
    C'è da metterci la faccia, senza paura.
    Abbiamo così poco da perdere!
    Non esiste un momento giusto in cui saremo così numerosi per poter andare.
    Esiste l'urgenza di costruire la nostra vita.
    Esiste la faccia d'ognuno di noi che, ogni minuto, può trasmettere l'energia necessaria per far sì che i nostri amici, i nostri conoscenti vengano a vedere, ascoltare e partecipare a ciò che stiamo costruendo a P.za S.Giovanni.
    Fisicamente, non solo con qualche invito sui social network.
    Se si crede in qualcosa ci si mette la propria faccia.
    Non si vince una montagna di gettoni d'oro, non è prevista una partecipazione ad X-Factor o una comparsata in una fiction.
    Il protagonismo è per altre attività. Qua a P.za S. Giovanni si contribuisce e non si impartisce.
    Per partecipare ad un tempo collettivo, ad un momento in cui si capisce che stare soli non ci aiuta.
    Che abbiamo diritto alla nostra possibilità ma possiamo garantircela solo noi.
    La responsabilità di rischiare è meravigliosamente alta.
    Ma niente vertigini, il nostro momento è quello che aspettavamo e che invece ci dobbiamo prendere.

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